ventitreesima edizione

2) L'Annuario

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La politica dei "gendarmi del mondo"
 
Focolaio mesopotamico
 
di Tony Zermo


Gli americani sono un grande popolo, cresciuto praticamente in appena tre secoli. All’inizio erano fuggiaschi dall’Europa in cerca di fortuna e figli di schiavi neri delle piantagioni di cotone negli Stati meridionali. Hanno avuto la forza di rendersi indipendenti, hanno superato una lacerante guerra di secessione, hanno conquistato lo spazio e la Luna, si sono dotati di arsenali atomici e di armi stellari, amano il loro Paese e tengono in casa la bandiera americana. Sono i “gendarmi del mondo”, fieri della loro forza, sono l’unica superpotenza mondiale dopo il dissolvimento dell’Urss, ma in politica commettono errori da principianti e a furia di insistere negli errori sono diventati “antipatici” al resto del mondo, non per colpa loro, ma dei loro governanti, anzi meglio di Bush jr.
A fare l’elenco non si finirebbe mai, limitiamoci agli eventi meno remoti. L’Afghanistan era stato invaso dalle truppe sovietiche e gli americani per contrastarli finanziavano talebani e Osama Bin Laden che poi gli si sono rivoltati contro. In Medio Oriente hanno lasciato mano libera a Sharon incancrenendo la crisi israelo-palestinese che ha fatto migliaia di morti. Ma l’errore più marchiano è stato in Iraq. Nella prima Guerra del Golfo del ‘91 alla quale ho partecipato come inviato de “La Sicilia” sembrava tutto risolto dopo meno di due mesi, le truppe alleate del generale Schwarzkopf avevano sbaragliato la Guardia repubblicana per nulla temibile, gli elicotteri Apache avevano inchiodato sulle dune i 5.000 carri armati di Saddam Hussein, l’aviazione e la marina irachena non esistevano, a quel punto c’era solo da andare trionfalmente a Bagdad e togliere il dittatore Saddam dal trono.

Invece Bush padre ha preferito lasciarlo in sella affinché continuasse a fare da spaventapasseri al regime degli aytollah iraniani considerato più pericoloso in quello scacchiere del mondo. Il risultato è stato catastrofico perché l’Iran è rimasto un Paese inaffidabile e non ci meravigliremmo se arrivasse presto alla sua atomica e Saddam dal canto suo ha continuato sino a pochi mesi fa a tenere l’Iraq in un pugno di ferro.Una strategia americana quantomeno miope. Ma se il “Desert storm” messo in piedi da Bush padre aveva una sua giustificazione nell’invasione del pacifico Kuwait da parte della soldataglia di Saddam, quello che ha fatto Bush figlio è stato imperdonabile. Non sappiamo se sia vero che, dopo l’Afghanistan, il presidente americano abbia chiesto subito al Pentagono dei piani d’attacco all’Iraq e che lo abbia fatto sulla spinta del suo vice Cheney e della lobby ebraica.
n realtà Saddam non aveva mai avuto armi di distruzione di massa, altrimenti le avrebbe usate nella guerra del ‘91, e forse è plausibile che l’interesse di Bush e Cheney - appartenenti entrambi a famiglie di potenti petrolieri - nell’attacco all’Iraq aveva due motivazioni “importanti” e convergenti: allontanare la minaccia rappresentata dall’Iraq nei confronti di Israele e mettere le mani sui grandi giacimenti petroliferi iracheni potenzialmente tra i primi al mondo.

Ma è stata una guerra inutile e sbagliata: Saddam doveva essere rovesciato nel ‘91 e non nel 2004, anche perché ha disseminato di trappole il dopoguerra che si è rivelato una guerra strisciante ben più pericolosa del conflitto ufficiale. Il dittatore iracheno ha usato un po’ la tattica dei russi che fecero terra bruciata contro l’avanzata napoleonica. Saddam non solo ha fatto bruciare pozzi di petrolio, ma i suoi miliziani hanno scandito con stragi giornaliere la permanenza delle truppe d’occupazione, sia pure uccidendo soprattutto iracheni. Certo si tratta di stragi compiute da terroristi che non sono nemmeno iracheni, ma penetrati dal poroso confine siriano e forse iraniano, ma lo stillicidio di questo dopoguerra è diventato da tempo insostenibile. Strategia sbagliata, tattica sbagliata, è il Vietnam mesopotamico.
E dire che lì, tra il Tigri e l’Eufrate, è nata la civiltà di un mondo che sta diventando sempre più incivile.

 

 
CARO PETROLIO
 

La Banca Centrale Europea, nel suo Bollettino di ottobre, ha sottolineato che “l’andamento del mercato petrolifero ha esercitato un impatto diretto sull’inflazione dell’area euro. Secondo l’Istituto di Francoforte, “i recenti rincari potrebbero esercitare ulteriori pressioni al rialzo sui prezzi nel breve periodo”. Alla luce delle attuali prospettive del mercato del greggio, la Bce ritiene dunque “improbabile” un rallentamento dell’inflazione sotto il 2% prima del 2005. Dunque, la Banca Centrale invita a “rimanere vigili” sui rischi per la stabilità dei prezzi. In particolare, nel bollettino emerge la preoccupazione per i cosiddetti “effetti di secondo impatto” dei corsi petroliferi su salari, imposte indirette e prezzi amministrati. Per Francoforte è perciò “di estrema importanza evitare reazioni inadeguate, come quelle osservate in precedenti forti rincari del greggio”. Secondo la Bce, inoltre, se le quotazioni dovessero restare elevate o persino aumentare ulteriormente, “potrebbero attenuare il vigore della ripresa, sia all’interno che all’esterno dell’area euro, sebbene l’intensità di utilizzo del petrolio nell’attività produttiva sia diminuita in misura considerevole dagli anni Settanta e Ottanta”. Venendo alle note “liete”, la Banca Centrale Europea ha constatato che “nel complesso la vigorosa espansione osservata nell’area euro nella prima metà del 2004, dovrebbe sostanzialmente proseguire nei prossimi trimestri, in linea con le previsioni pubblicate da organizzazioni internazionali”. “I risultati delle indagini congiunturali condotte fino a settembre mostrano il perdurare della crescita della produzione industriale e del settore dei servizi. Prosegue inoltre il recupero della fiducia dei consumatori, ed emergono segnali di un miglioramento delle prospettive dell’occupazione”.
Bollette da infarto e rifornimenti di benzina col contagocce non sono i soli effetti della corsa inarrestabile dell’oro nero: quando i prezzi del brent volano lassù dove osa l’Opec, ambientalisti e tifosi di un mondo meno inquinato sono i primi a goderne. Abbiamo cercato le tracce degli effetti potenzialmente positivi del petrolio alle stelle e le abbiamo trovate. Ma quando abbiamo tentato di disegnarne la mappa ne è venuta fuori l’immagine di un’occasione che rischiamo di sprecare, arrancando tra liti e cavilli mentre al di là delle Alpi c’è già chi cammina in discesa. L’apprezzamento del greggio è un’occasione da sfruttare, per esempio, nel campo dei biocarburanti: il presidente dell’Agenzia francese per l’ambiente e l’energia, Michelle Papallardo, ha fatto di conto e ha scoperto che con il prezzo del barile a 45 dollari diventano concorrenziali l’etanolo e il biodiesel tratti da cereali, barbabietole e girasole. Ebbene, i prezzi sono ben oltre i 45 dollari ma l’Italia non ha ancora recepito la normativa europea sulla promozione dei biocarburanti, come è invece avvenuto in Francia.