ventitreesima edizione

2) L'Annuario

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Essere musulmana in Occidente
di Katia Scapellato

 

 

 

 

Ha 43 anni, è nata ad Acireale, in provincia di Catania. Diciotto anni fa ha lasciato la Sicilia per andare a vivere a Reggio Emilia dove lavora come insegnante. E in classe Carmela Tramontana si presenta regolarmente con il velo. Lo fa nella scuola elementare “Carlo Collodi”, nel cuore del quartiere cittadino a più alta densità islamica, dove probabilmente vedere una insegnante con il velo per gli alunni non deve essere poi così strano. In Emilia - ha raccontato la protagonista di questa storia al giornale “Ultime notizie Reggio” - c’è una società più aperta a tutti e magari altrove non sarebbe andata ugualmente bene.
La sua storia può aiutarci a capire meglio il rapporto tra le donne occidentali e quelle musulmane.
Alla “Carlo Collodi” gli alunni della quarta B - una classe mista formata da bambini cattolici e musulmani - si limitano a chiedere alla loro insegnante se ha caldo con il velo, ma nessuna domanda legata alla religione. Carmela Tramontana ha sposato un egiziano. La figlia maggiore, che oggi ha 14 anni, ha frequentato l’asilo dalle suore francescane. Il piccolo frequenta l’oratorio di Santa Croce. Carmela era sempre stata cristiana, si è convertita all’inizio degli anni ’90. “L’ho fatto dopo il matrimonio civile e la nascita del primo figlio - spiega -. Ho conosciuto l’Islam grazie a mio marito ma senza alcuna costrizione. Il passaggio non è stato traumatico. Le due religioni hanno molto in comune. Per anni ho fatto la catechista, mio fratello è laureato in teologia, i miei familiari sono molto credenti e ho anche uno zio prete. Frequentavo con assiduità la chiesa, ma cercavo risposte che il Cristianesimo non riusciva a darmi”.
Il velo però è senza dubbio un simbolo, ultimamente sembra essere diventato il pomo della discordia tra laici e islamici, anche se in realtà è più un fatto culturale che religioso. Il vero problema è la libertà di indossarlo o meno. Carmela Tramontana lo paragona alla Croce appesa al muro dell’aula in cui insegna. “Rispetto questo simbolo del Cristianesimo - dice la donna - non mi sognerei mai di chiedere che la croce venga tolta, ma non penso neppure a togliere il velo, lo farei solo se ci fosse una legge che lo proibisse”.

Eppure in Francia fioccano i primi provvedimenti severi contro le ragazze che non si sono piegate ai divieti. In una scuola media di Mulhouse, in Alsazia, due ragazzine di dodici anni che hanno rifiutato di recarsi in classe senza il foulard islamico, sono state espulse. Sono le prime a fare le spese della legge sulla laicità nelle scuole voluta da Jacques Chirac ed entrata in vigore con il nuovo anno scolastico. Il Ministero dell’Educazione francese ha dato mandato a presidi e insegnanti di dialogare con i ragazzi ed evitare repressioni brutali e i risultati sono stati confortanti: se lo scorso anno, senza nessun divieto, erano stati registrati un migliaio di casi difficili, quest’anno si è scesi a 72. Ed è per le situazioni ostinate che scattano i discussi provvedimenti.
Polemiche a parte, la conoscenza è di sicuro il primo passo verso una convivenza serena tra le due culture. In Sicilia, ad esempio, dove nei secoli si sono mescolati il mondo arabo e quello occidentale, testimoniati da opere d’arte di straordinaria bellezza, proprio scoprendo le radici comuni si comincia a conoscersi e a riconoscersi.
“E la conoscenza è il primo passo verso un rapporto di amicizia, unico vero baluardo contro l’odio tra i popoli - dice il ministro per le Pari Opportunità Stefania Prestigiacomo -. Solo conoscendosi, infatti, è possibile smantellare i pregiudizi.

Il Ministro per le Pari Opportunità Stefania Prestigiacomo con il Ministro palestinese per la Condizione Femminile Zahira Kamal

Ci sono valutazioni preconcette, che rischiano di dare del mondo musulmano un’immagine distorta”. “La donna afghana velata - dichiara il ministro - è l’emblema dell’”araba” per eccellenza, violata nella sua dignità da una tradizione religiosa e culturale che non le permette di affermare la propria identità. Ma considerare la condizione afghana come quella di tutte le donne islamiche sarebbe fuorviante e antistorico”. “È vero - dice ancora Stefania Prestigiacomo - che in molti paesi arabi la donna si trova ancora diversi passi dietro l’uomo, ma non soltanto nei paesi islamici i diritti femminili vengono quotidinamente violati. Questo però non deve farci dimenticare che in altri luoghi - l’Arabia saudita ne è l’esempio - la donna, pur nel rispetto dei valori dettati dalla religione, si sta ritagliando un ruolo da protagonista. Un processo lento, difficile e tuttavia inesorabile. Una battaglia complessa quella avviata all’interno del proprio paese d’origine da tante donne, e cito solo un esempio per tutti, Srin Ebadi, l’iraniana premio Nobel per la pace, contro una mentalità spesso impermeabile ai cambiamenti ed alle sollecitazioni di un mondo che cambia repentinamente”.
La diversità dunque è una ricchezza, deve essere mantenuta e difesa. Credere che la donna musulmana, per rafforzare la propria identità, debba diventare necessariamente occidentale è sicuramente frutto di pregiudizi. Ci sarà crescita culturale, trasformazione, progresso nella condizione femminile nel mondo arabo solo se le donne ripartiranno dalla propria cultura, dalla propria storia per rimodellarla alle nuove esigenze.
“È innanzitutto una battaglia culturale e per vincerla è fondamentale conoscersi, comprendersi e gettare quel ‘ponte fra culturÈ - dice il ministro per le Pari Opportunità - essenziale in società multietniche come le nostre. Occorre quindi aprirsi “all’altro”, relazionarsi con chi è portatore di tradizioni e storie diverse, con l’orgoglio di difendere la “nostra” cultura che non deve farci perdere di vista l’importanza del dialogo e l’esigenza della pacifica integrazione sociale”.

LA DONNA NEL CORANO

Nel Corano, testo sacro della religione islamica, molteplici sono i riferimenti nei confronti della donna nei suoi aspetti spirituali, in quelli sociali e in quelli economici; secondo l’interpretazione che viene data da alcuni studiosi del testo sacro del Corano, la donna è considerata pari all’uomo, gode di molteplici diritti, deve essere rispettata ed amata. In una sorta di concezione “stilnovistica” è l’ancella - tramite, attraverso la quale è possibile “elevarsi” a Dio. “Chiunque - sia esso maschio o femmina - faccia delle opere buone, ed abbia fede, in verità a costui Noi daremo una nuova vita che sia buona e pura, ed elargiremo a tali individui la loro ricompensa in base alle loro azioni”. (Corano 16:97, vedere anche 4:124). Il Corano indica chiaramente che il matrimonio è condivisione tra le due metà della società, e che i suoi obiettivi, oltre al perpetuarsi della vita umana, sono il benessere emotivo e l’armonia spirituale. Le sue basi sono l’amore e la misericordia. “E tra i Suoi segni vi è questo: Che Egli creò compagne per voi da tra di voi in cui possiate trovare riposo, pace mentale in esse, ed Egli ordinò tra voi amore e misericordia. Ecco, qui vi sono invero segni per le persone che riflettono”. (Corano 30:21).

DIRITTI DELLE DONNE ISLAMICHE

Il tema dei diritti delle donne nell’Islam è al centro di accesi dibattiti e di giudizi estremamente contrastanti. Da un lato, molti osservatori sostengono che non è facile parlare di “diritti” delle donne islamiche dal momento che la maggior parte di esse sono private delle più elementari norme civili: “Dalla minore libertà di spostamento alla minore libertà d’espressione, di parola, di saluto; minore possibilità di avanzare negli studi o nella carriera e di rivestire cariche o ruoli di responsabilità in ambito civile o religioso; quasi nessuna possibilità di partecipare alla vita politica o di venire eletta; scarsa possibilità di decidere il proprio destino o quello dei propri figli; sottomissione all’uomo, da cui può venire ripudiata (e non viceversa); convivenza con altre mogli scelte dall’uomo; obbligo, in molti paesi, di coprire il proprio corpo e spesso anche il viso; imposizione, in molti paesi, dell’infibulazione e dell’escissione; frequenti gravidanze non scelte liberamente, ma imposte dal marito. La condizione della donna nell’Islam varia molto da nazione a nazione. In quegli Stati ove le leggi del Corano sono applicate più rigidamente, le donne vivono in minori condizioni di libertà rispetto all’uomo, e spesso sono poste su un gradino inferiore. Esse però non sempre avvertono come ingiustizia la diversità della loro condizione, ricevuta come abitudine culturale. Ma anche se l’avvertissero come ingiustizia, non sempre sono in grado con le proprie forze di modificare la propria situazione”. Dall’altro, la cultura islamica sostiene che le donne accedono a specifici diritti sociali: “La donna, come l’uomo, è una entità indipendente e quindi un soggetto umano pienamente responsabile delle sue scelte e delle sue azioni. Inoltre i doveri previsti dalla Shari’a, la legge islamica, sono gli stessi tra gli uomini e le donne. Inoltre, la donna costituisce persona giuridica a sé, a prescindere dal marito, dal padre o da qualsiasi parente maschio tant’è vero che può scegliere di diventare musulmana a prescindere dalla fede dei suoi parenti più prossimi. Ma ha anche la possibilità di scegliere autonomamente se accettare un matrimonio o meno, e se non vi è l’assenso della donna il matrimonio non può essere considerato valido. La donna ha diritto ad una sua proprietà privata, che non è tenuta a condividere con nessuno. La dote che l’uomo versa alla donna viene a far parte proprio di questa sua proprietà, va investita nei suoi bisogni personali e non va investita nelle esigenze della famiglia, che devono essere sostenute dall’uomo, ma alle quali la donna può decidere spontaneamente, e in accordo con il marito, di parteciparvi anche con una sua attività lavorativa fuori dalle mura domestiche”.